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Dal Medioevo all’avvento dei Social network

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“Vi spiego come è cambiato il valore del sorriso”

Si tratta di uno dei gesti più universali e potenti nella comunicazione, capace di esprimere gioia, empatia, sicurezza e apertura. Oggi lo diamo per scontato, complice l’onnipresenza delle fotocamere e dei Social network che lo ha reso un vero e proprio standard estetico e sociale. Ma un tempo non era affatto così…

La storia ci racconta un percorso complesso e articolato: il sorriso, per secoli, è stato quasi “demonizzato”, evitato nella rappresentazione artistica e associato a valori negativi o di debolezza. Il mutamento culturale, che lo ha fatto diventare uno strumento di bellezza, successo e felicità, è strettamente legato a cambiamenti sociali, religiosi e psicologici profondi.

“Nell’arte della Grecia arcaica, intorno al VII secolo a.C., uno dei pochi casi di sorriso -spiega l’odontoiatra Michele Inzaghi nel suo libro Este-Tik-Tok-a Dentale, l’importanza del sorriso nell’era dei Social network – è quello arcaico dei kouroi, statue di giovani maschi idealizzati che esibiscono un’espressione rigida e stilizzata. Non è un segno di felicità, bensì un modo per conferire vita alla statua. Il sorriso era quindi funzionale più che emotivo. Aristotele stesso riconosceva l’importanza della misura e del controllo nell’espressione delle emozioni, scoraggiando eccessi. Anche a Roma, nella ritrattistica ufficiale -prosegue Inzaghi- il sorriso era poco presente. Mostrare i denti, spesso in cattivo stato a causa della scarsa igiene dentale, era segno di trascuratezza e scompostezza”.

Durante il Medioevo, invece, l’arte era dominata dalla religione e dai suoi valori di sobrietà, umiltà e controllo delle passioni. Il sorriso, associato a leggerezza, vanità o addirittura al demonio, veniva evitato nelle rappresentazioni sacre: “I volti di santi, martiri e nobili erano sereni, ma mai gioiosi o sorridenti. Questo divieto del sorriso – sottolinea il professionista – ha radici psicologiche importanti: il controllo delle emozioni era inteso come segno di forza morale e spirituale. Espressioni troppo aperte venivano percepite come segnali di debolezza, frivolezza o persino peccato”.

Con il Rinascimento si apre una nuova fase, in cui l’arte si interessa profondamente all’individuo, alla sua psicologia e al mistero delle emozioni umane. Il sorriso fa finalmente capolino, ma resta ancora enigmatico e sottile. Il caso più celebre è la Gioconda di Leonardo da Vinci, il cui sorriso sfuggente e indefinito è diventato il simbolo stesso dell’ambiguità emotiva e dell’interiorità.

Altri artisti come Antonello da Messina cominciano a introdurre nei ritratti lievi accenni di sorriso, segnando un passaggio importante verso una rappresentazione più realistica e complessa delle emozioni.

“Tuttavia – chiarisce Inzaghi – la cultura religiosa e sociale dell’epoca continua a limitare il sorriso aperto, considerato poco decoroso in contesti ufficiali o sacri. Solo nel XVII secolo, con il Barocco e la pittura olandese, il sorriso riemerge in tutta la sua forza espressiva. Caravaggio usa il sorriso beffardo e provocatorio nell’Amor Vincit Omnia per mettere in discussione la morale tradizionale, mentre gli artisti olandesi come Frans Hals e Judith Leyster ritraggono scene di vita quotidiana con persone che ridono, brindano, si divertono. Questi sorrisi sono autentici, spontanei, e riflettono un cambiamento sociale: la valorizzazione della vita quotidiana e della dimensione umana”.

Nel XVIII secolo, la diffusione della borghesia e l’aumento dell’importanza del ritratto personale portano a un cambiamento: il sorriso diventa un segno di autenticità e classe sociale. La ritrattista Élisabeth Vigée Le Brun, per esempio, osa mostrarsi con un sorriso aperto, rompendo con la tradizione e introducendo un ideale di eleganza che passa attraverso l’espressione gioiosa.

Mentre, nel XIX secolo, artisti come Gustav Klimt usano il sorriso come simbolo di potere e seduzione: “Nei tempi relativamente recenti – secondo l’analisi di Inzaghi – con la diffusione della fotografia, il sorriso si fa protagonista anche nella vita quotidiana. Le prime foto erano rigide e serie, ma con il miglioramento delle tecniche diventa normale sorridere davanti all’obiettivo. La pubblicità, a partire dagli anni ’20 con Kodak, associa il sorriso a felicità, successo e salute, trasformandolo in un vero e proprio simbolo di vita moderna”.

Nel XX secolo, poi, le star del cinema impongono il sorriso come modello estetico. Le campagne pubblicitarie di dentifrici e cosmetici consolidano l’idea del sorriso perfetto come segno di benessere e realizzazione personale.

L’arrivo dei social network ha dato al sorriso una nuova dimensione, quella che Inzaghi definisce la “dittatura dei social”: “Oggi, su Instagram, TikTok e Facebook, il sorriso è spesso più una posa studiata che un’espressione spontanea. Milioni di persone condividono selfie sorridenti, spesso filtrati e ritoccati, alimentando un’idea di perfezione estetica che può diventare fonte di ansia e insicurezza. Questa dittatura del sorriso crea una pressione psicologica significativa, soprattutto tra i più giovani, che si sentono obbligati a mostrare un’immagine positiva e sorridente per essere accettati e ammirati. Il sorriso diventa un biglietto da visita virtuale, uno strumento di status e potere sociale, ma anche una maschera dietro cui nascondere insicurezze e fragilità. Oggi, più che mai – conclude Inzaghi – è uno strumento di comunicazione potentissimo, ma anche una sfida: riuscire a preservare la sua autenticità in un mondo dominato dall’immagine e dalla pressione sociale, rappresenta una delle prove più delicate della nostra epoca”.

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